(Ri)Assetto del Territorio / 1 – Gli ultimi Giapponesi resistono nel Fucino

Franco Massimo Botticchio
Franco Massimo Botticchio
9 Minuti di lettura
Da sinista in alto: Berardini, De Angelis, Di Natale. Da sinistra in basso: Eramo, Favoriti, Mostacci


Sabato scorso – primo ottobre / A.D. 2016 – ho assistito, a Pescina, ad un interessante incontro finalizzato, per dirla con uno degli animatori (il consigliere regionale Di Nicola), ad «analizzare l’istituto della fusione tra Comuni e per esaminare quali sono le opportunità di sviluppo locale offerte dalla Strategia Aree Interne 2014-2020». Sui due temi, evidentemente connessi, l’uditorio ha potuto ascoltare degli interventi a mio modesto avviso notevoli, inquadrati, all’inizio e alla fine, dalle chiose degli esponenti dell’associazione “Ripensiamo il Territorio” che pure ha voluto questo incontro. Roba puntuale, insieme di sostanza e di effetto, merce decisamente rara da noi, esposta addirittura in lingua italiana e senza inflessioni (tale percorso netto di politezza di dizione e sintattica è frutto anche della defezione, registratasi all’ultimo momento, dell’assessore regionale preposto al ramo, Gerosolimo).

Probabile certo che il mio giudizio sia di parte (beninteso: le parti sono necessarie per una sintesi in grado di farci elaborare uno stadio superiore: ed essere partigiani è d’altronde preferibile a quella melliflua equidistanza d’accatto che molti spacciano per obiettività) ma la narrazione della esperienza di fusione di tre municipi operata nelle Marche che ha condotto alla nascita del nuovo soggetto “Comune di Trecastelli” è suonata quale soave melodia per le mie povere orecchie, quotidianamente costrette ad ascoltare elucubrazioni secessioniste di insediamenti di sette abitanti da capoluoghi che non ne contano settanta. Un vero e proprio spot vivente e lucente per la fusione tra comuni di modeste dimensioni, quello inverato dalla esposizione del sindaco marchigiano Faustino Conigli, che presto sarà fruibile, mi si dice, su youtube, insieme agli altri interventi. Avessi dovuto scrivere un copione pro-fusione, non sarei riuscito a compilarlo con la dovizia le pennellate e le ombreggiature del sindaco di Trecastelli, con persino la borsa di studio – creata con i danari incentivanti incamerati con la fusione (dei comuni di Castel Colonna, Monterado e Ripe) – per effettuare le indagini di vulnerabilità sismica dei tanti edifici pubblici ereditati dal nuovo ente, onde decidere a cosa destinarli: troppa grazia Sant’Antonio! E poi: la scuola fatta ex novo, un’unica struttura moderna per gli sport, ecc..: un vero e proprio film di fantascienza è scorso dinanzi ai miei occhi, sino a quando, dopo gli interventi di Gianni Natale, del professor Mascarucci e dalla dottoressa Cirrillo il moderatore, Ennio Bellucci, ha dato inizio a quello che la stampa locale aveva sadicamente preannunziato quale «momento di confronto tra i Sindaci sulle idee di rilancio della Valle del Giovenco». Qui la serata ha cominciato a prendere una brutta piega per chi scrive.

Da tempo immemore mi sono convinto che per tentare di salvare quel poco che resta nella e della Valle del Giovenco occorra aggregare tutte le entità amministrative che in quella Valle insistono. Il Giovenco, non esattamente il Fiume Giallo, è lungo, dalle sue sorgenti montane sino a Fucino (lago del quale era emissario), in tutto, anse comprese, quarantaquattro chilometri. Un ambito che non dovrebbe essere complicato riconoscere come la tanto declamata “dimensione locale pertinente”, evocata nel dibattito. Parrebbe un ragionamento di buon senso, quello di pensare uniti, pur nella loro particolarità e singolarità, quei poco più di ventimila abitanti che ora sono ripartiti in dieci comuni – e che già erano stati aggregati nell’entità della comunità montana omonima “Valle del Giovenco” – ma al cospetto degli amministratori che attualmente reggono quei municipi ci si avvede in un attimo che una tale fisima non potrà mai realizzarsi.

Ascoltate le relazioni del pomeriggio, qualsivoglia essere umano normodotato avrebbe messo la coda tra le gambe e, fuggito a casa per la vergogna di possedere quella fascia tricolore, avrebbe cominciato a cercare su internet i mezzi per addivenire il più velocemente possibile ad una aggregazione amministrativa più ampia di quella del singolo comune, telefonando ai suoi colleghi primi cittadini. Aggregazione in grado di garantire incentivi nazionali e regionali, esenzione dal rispetto del patto di stabilità e del turn over per le assunzioni, ecc. ecc…. ma soprattutto strumento unico culturale per compattare una zona in piena disgregazione di senso compiuto, prima ancora che in sfaldamento demografico e civico. Da noi no.

Si alza il sindaco di Ortona nei Marsi (abitanti ufficiali residenti secondo l’ultimo censimento: 592 / divisi in una decina tra frazioni e case sparse) e ci comunica che è sua intenzione fondersi con Bisegna (abitanti ufficiali residenti secondo l’ultimo censimento: 261 / ripartiti tra il capoluogo e la frazione di San Sebastiano); non contento di una simile straordinaria manifestazione di sprezzo del ridicolo, si duole che le nuove norme incentivanti regionali contemplino il numero minimo di arrivo del nuovo ente a 5.000 abitanti. Qualcuno nell’uditorio mormora che per una simile fusione, quando mai si verificasse, per osservarne gli effetti, occorrerà munirsi di un potentissimo microscopio! (Risate!)

Tocca poi agli esponenti di quello che lo stesso sindaco di Gioia dei Marsi ha definito il “triangolo delle Bermude”: Gioia, Ortucchio e Lecce nei Marsi. Anche chi si dichiara a favore delle fusioni lo fa con la riserva mentale, e ben si comprende che non si approderà mai a nulla, se non di coatto.

Ma neppure la coazione governativa potrà qualcosa, probabilmente, se si ascolta il sindaco di Collarmele, che di abitanti non ne conta mille, ma che sulla difesa di quel gonfalone giura già adesso di gettare sangue (sarebbe curioso chiedergli insieme a chi, se del caso, farà la resistenza: l’età media della popolazione del suo comune è di 48,3 anni!). E via di questo passo. E ci si interroga: ma come è possibile tutto ciò? Come è possibile che simili figuri facciano unioni di servizi e consorzi con enti distanti cinquanta chilometri e poi si dolgano del fatto che lo strumento di associazione di funzioni non funzioni (senza neppure sospettare che forse sono loro a non andare)?

Poi ci torna in mente l’altro aspetto del quale si è trattato nel pomeriggio, la strategia delle Aree interne, e si fa mente locale sulla circostanza che sebbene inseriti in tale ambizioso progetto, questa congerie di primi cittadini non è riuscita a produrre una sola carta seria da portare a Roma (ed infatti in Abruzzo partirà, per adesso, altra area e non la nostra), per quanto si vedano sin troppo spesso. Questi sono gli stessi sindaci che stanno provvedendo a “riparare” e “adeguare” scuole che ospitano pochi alunni ciascuna anziché recarsi tutti insieme a viale Trastevere, a Roma, e mettersi fisicamente a piangere dinanzi al Ministro per farsi “donare” uno dei trenta campus innovativi attualmente in palio tra le Regioni (fosse stato per loro, non si sarebbe neppure partecipato), per tutta la Valle. Certo, questa è una classe (non) dirigente specchio fedele delle popolazioni, delle idiosincrasie che nutrono e alimentano il dibattito pubblico di questo disgraziato lembo di Terra sugli Appennini, pure sarebbe lecito attendersi qualcosa di più, magari in termini di alfabetismo di ritorno…

E tutto torna a quadrare. Moriremo così, intenti a quell’attività che Eric Hobsbawm definiva “invenzione della tradizione”, nel deserto diaccio di una contrada che perde abitanti persino verso Avezzano…. Ma con un sacco di sindaci alle processioni….

ilmartellodelfucino@gmail.com

 

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