Sicurezza sismica / 13 – Abruzzi depensanti

Franco Massimo Botticchio
Franco Massimo Botticchio
13 Minuti di lettura
(da facebook)

L’immagine degli studenti aquilani dediti a studiare tra le casse delle onoranze Taffo, quella bellissima foto griffata con il motto #sicuridamorire è stata, l’altro giorno, la folgorazione inattesa arrivata a rompere il libeccio della morta gora della opinione pubblica. Agli studenti e a Taffo il nostro ringraziamento. Non ci ha sorpreso più di tanto che il sindaco de L’Aquila (soggetto, parere opinabile ma crediamo fondato, del tutto unfit ai terribili compiti che il destino gli ha inteso propinare, nel corso dei suoi due mandati giunti fortunatamente al termine) abbia tosto bofonchiato:

«[…] La foto dei ragazzi sulla bara? Se fossi il loro padre li manderei a letto senza cena, perché non hanno fatto bene alla città […] Forse è una goliardata, ma il danno che si provoca con queste cose è gravissimo […]»

(reazione che la dice lunga sugli stilemi educativi e sullo spazio-temporale nel quale certa classe dirigente galleggia e crede di agire; nonché sull’idea di immagine che si nutre e si pensa di alimentare [e che invece si distrugge]); né ci ha colpiti che pochissimi individui siano arrivati a chiedersi come sia (stato) possibile che in un luogo così duramente colpito il 6 aprile 2009 ci si sia improvvisamente (ovvero dopo solo 50.000 scosse che hanno flagellato una dorsale di 160 Km. di Appennino in un solo anno solare) resi conto che sulla verifica della vulnerabilità sismica degli edifici scolastici ben poco era stato fatto.

Certe reazioni (oltre quelle genitoriali, al limite del delirante, che nel recente passato abbiamo osservato anche nella Marsica: contro i doppi turni, contro i ricoveri di emergenza delle classi, sproloquianti sulla denegata attività sportiva pomeridiana ai loro giovani virgulti, ecc.), dicevamo, non ci hanno colti di sorpresa. Perché ormai, negli Abruzzi, tutto è normale. In un cratere sismico nel quale sono stati convogliati – manca poco – dieci miliardi di danaro pubblico, non si sono trovati degli spiccioli (o qualche partnership autorevole con enti che fanno questo [esempio: ENEA-scuole Corradini Fermi ad Avezzano] per verificare le condizioni delle strutture strategiche e sensibili sopravvissute al 6 aprile, e di adeguarle o migliorarle sismicamente. Normale quindi – corollario automatico ed emblematico – che i responsabili di questa umiliante afasia siano i primi ad urlare, oggi, per poi tentare di passare alla cassa del Governo ed infine tornare con la borsa ri(s)gonfia dall’elettore (corrotto ormai mediamente più del politico). Poche parole di buonsenso al riguardo, quali quelle su facebook di Mattia Fonzi:

[…] E’ una questione di politiche pubbliche: si compie una scelta nel momento in cui si decide di non impiegare 30mila euro in un (serio) studio sulla vulnerabilità di un edificio pubblico strategico, e invece di investirle sull’affitto di due cartelloni di pubblicità a Papa Giovanni Paolo sulla A24. E’ una scelta, cazzo. Quindi di che stiamo a parla’? Della grottesca sciatteria del Comune? O dell’emblematica parabola della Provincia […]

disperse in un oceano di discorsi patetici e retorici, del tutto inconferenti non solo con le questioni afferenti la tutela della vita o riguardanti la didattica che dovremmo garantire alle giovani generazioni; ma discorsi capaci di risultare addirittura stranianti per le orecchie e gli occhi di un osservatore esterno appena normodotato ed equilibrato.

Specchio del drammatico declino cognitivo che stiamo vivendo è stato – sempre a nostro modestissimo ed inutile parere – l’intero dibattito svoltosi in Consiglio regionale lo scorso 7 febbraio, che alla fine si è risolto in un gigantesco autodafé dell’avversa sorte e in un’autoassoluzione complessiva di un ceto politico (nuovi venuti grillini compresi) dimostratosi del tutto insufficiente proprio nel momento nel quale maggiormente della sua opera il Territorio dante causa avrebbe necessitato.

La straordinarietà dei fenomeni occorsi intorno – e per lungo, troppo tempo – al terribile 18 gennaio scorso ha costituito la base fondante dell’intervento di Luciano D’Alfonso, arrivato, in un discorso irto di espressioni che volevano apparire solenni ma sono rimbombate vacue nell’enorme sala di Pescara, ad accreditarsi, in nome della Regione, di un «battagliamento» contro neve e terremoto che purtroppo da parte di quell’ente non si è minimamente visto (e passaggio piuttosto contraddittorio al riguardo, dopo tanto incensarsi ed incensare, è stato l’inciso presidenziale contro il responsabile della Protezione civile regionale, Iovino). Non solo. D’Alfonso, ansioso di scansare qualsiasi riflessione seria e di prospettiva sull’ennesimo collasso della macchina regionale (dopo quello epocale del 6 aprile 2009; e non volendo metterci la crisi della neve del 2012, che pure….) e, quindi, a cascata, su quale senso abbia, oggi, ad esempio il Masterplan con le sue provvidenze imbellettate e a pioggia, è arrivato a dei vertici che mai – in qualche modo avendolo in passato stimato, se non altro per la sua profilatura democristiana, così diversa da quella in auge con l’era Berlusconi – ci saremmo aspettati. L’eco delle parole di D’Alfonso non è suonato soltanto vacuo: crediamo rasenti l’offesa (e costituirebbe un plateale casus belli con la Protezione civile nazionale, se solo fossimo considerati degli interlocutori) quel reiterato indirizzarsi presidenziale a quel «foglio di carta della Commissione Grandi Rischi» del 20 gennaio 2017 quale ulteriore elemento di criticità intervenuto nella situazione – quasi come la “pesante” neve caduta e le scosse –; espressione con la quale il presidente della Regione ha avallato un’interpretazione di quell’ineccepibile documento della CGR del tutto erronea (si potrebbe provare a stracciarlo quel verbale del giorno 20, ed osservare quali ricadute positive sulla situazione si registrerebbero: ben poche, pensiamo), ovvero tacciando di allarmismo un consesso che in quest’occasione dovremmo semplicemente ringraziare. Veramente deleterio si possa prestare il fianco ad una simile operazione (ce ne si fa una ragione per uno dei sindaci dei comuni più colpiti, nell’Aquilano, che pure abbiamo udito, su Rainews, additare responsabile dell’emergenza vissuta la Commissione Grandi Rischi; e pazienza [pazienza anche se nell’ente da costui primo cittadino diretto ci si dice che una valutazione di incidenza ambientale per una cava da 600.000 metri cubi sia stata recentemente controfirmata dal geometra del Comune; questo per dire quali siano le procedure in essere in certi luoghi] ma D’Alfonso no…). In questo percorso volto ad accreditare l’eccezionalità degli eventi occorsi (che è poi la versione di Enel:

TERREMOTO. TAMBURI (ENEL): PRECIPITAZIONI MAI REGISTRATE IN 100 ANNI PER INTENSITÀ E DURATA (DIRE) Roma, 8 feb. – “L’intensità e la durata delle precipitazioni registrate” in Abruzzo e nelle Marche a gennaio “non si vedevano da 100 anni”. Così il direttore Enel Italia, Carlo Tamburi, in audizione in Commissione Industria, commercio, turismo al Senato sulle problematiche della rete di distribuzione elettrica emerse in seguito ai recenti eventi climatici nelle Regioni del Centro Italia. (Sor/Dire)15:12 08-02-17

e che ha il risultato di occultare qualsivoglia menda propria / e, al limite, anche quelle di Enel stessa e di Terna; giacché di fronte ad un evento eccezionale…. / ma eccezionale è la caduta di un meteorite, non la neve….) D’Alfonso è arrivato sino a dolersi in modo inaccettabile delle persone nascoste dietro gli acronimi, dei denunziatori oggi giorno presenti sui mezzi di comunicazione: e peccato non abbia fatto direttamente nome e cognome di Augusto De Sanctis….

Il ragionieristico inferire di D’Alfonso su quanto la comunità abruzzese dovrà avere indietro da Enel, e su quanto dovrà pretendere dal Governo, è suonato discorso da “curatore fallimentare” degli Abruzzi, e poco o per nulla convincente nella teorizzazione dei cosiddetti “danni indiretti” che pure si ha in animo di vedersi risarcire. Il nostro scetticismo su questo aspetto è totale.

Una manciata di danari – o anche tanti soldi – non potranno modificare una situazione, senza un’analisi seria che sia a presidio dell’uso consapevole delle risorse e prima ancora della direzione da prendere. Forse abbiamo inteso male, ma la parola magica “prevenzione” il presidente D’Alfonso l’ha pronunziata una sola volta. Hai voglia a parlare di sgravi di oneri contributi fiscali bancari, quando poi non si pone mano ad una vera manutenzione del Territorio senza la quale tra poco chi dovrebbe essere sgravato da cotanti pesi sarà ben lontano dall’Appennino (perché escludere che qualche Spectre governativa non stia già progettando la definitiva desertificazione di una porzione d’Italia così problematica e così sottopopolata?). Sotto questo profilo, la politica regionale per intero (anche i sindaci sono stati proclamati tutti caballeros da D’Alfonso: cosicché quelli che l’emergenza vera l’hanno affrontata a mani nude sono stati equiparati a chi con anni di tempo non si era preparato per nulla, se non aggravando la situazione: e tutti uniti oggi sono nella carovana di chi attende provvidenze dallo Stato, l’eroe a fianco di quello che – seguendo Cialente – dovrebbe per qualche anno andare a letto senza cena per espiare [perché sicuramente un sindaco è più responsabile della situazione di uno studente minorenne che si fa una foto tra le casse…]) pare attanagliata da una vera e propria frenastenia, con crisi e apatia che si succedono senza soluzione di continuità e senza che si ponga al centro del dibattito un vero disegno dal quale ripartire in qualche modo. Si ascolta chi dovrebbe indurre e guidare i processi collettivi, esporre come non avesse contezza del dissesto ambientale di un’intera regione, che sembra non aver mai percorso quelle centinaia di chilometri di provinciali franate che rendono difficoltoso arrivare in molti centri anche senza neve (eclatante la Maiella), persino a Ferragosto. Che pare cieca dinanzi alle vestigia e ai ruderi che ci ammoniscono su almeno tre secoli di terremoti. Che non ha gli occhi e il caldo nel cuore per comprendere che le scuole che ha frequentato debbono essere in gran parte rottamate, e che strutture di oltre mezzo secolo fa non hanno più ragion d’essere. Che pare sorda al pericolo, ai pericoli, alle sfide del domani.

L’attuale stato del dibattito corrente nell’opinione pubblica, l’ascoltare e il leggere ciò che passa in una rissosa comunità di circa un milione e trecentomila persone, ci fanno disperare di vedere in tempi ragionevoli elaborare il lutto di una situazione drammatica. Il timore è che non ci siano le capacità per gestire il tremore della terra senza isteria e con la giusta posologia di provvedimenti ed azioni. Che gli Abruzzi siano un corpo senza guida (e non da oggi ma dal tramonto del vecchio ceto eminente nei paesi, scomparso con il declino del regime economico agricolo-pastorale e delle sue propaggini di ceto piccolo-borghese).

ilmartellodelfucino@gmail.com

Condividi questo articolo