Sicurezza sismica / 7 – Scuole Pescina: un mondo alla rovescia

Franco Massimo Botticchio
Franco Massimo Botticchio
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Scuola media Pescina

Alla vigilia del nuovo anno scolastico, ci aspettavamo che le immagini della scuola di Amatrice, disastrosamente rovinata il 24 agosto scorso, accendessero un poco gli animi e sottoponessero nuovamente all’attenzione della cosiddetta opinione pubblica di questo disgraziato pezzo di Abruzzo il tema della sicurezza delle scuole, insieme a quella di tutti gli altri edifici sensibili e strategici (di quelli aperti, di quelli ancora frequentati e soprattutto di quelli desertificati), edifici tutti che in tempi non sospetti abbiamo ribattezzato “bare volanti”.

La fiammata si è effettivamente registrata ma ad un mese di distanza da quel sisma (che, è bene ricordarlo, non ha fatto da noi, e dunque non è un test attendibile della resistenza delle strutture ad un sisma atteso) possiamo affermare che quella vampa non è stata che un fuoco di paglia, già spentosi sotto una catasta di rassicurazioni e di indifferenza, se non di aperto fastidio verso le incombenze che questo nuovo terremoto ha riportato di attualità e ci ha rammentato dovremmo sbrigare (e pure con una certa sollecitudine).

La questione la si poteva prendere in diversi modi ma quello invalso, il più comodo, e subito abbracciato dalle cosiddette Autorità, è stato quello di dire: le scuole erano “agibili” prima del 24 agosto ultimo scorso e dunque, in assenza di danni rilevati o di fatti nuovi, continuano ad esserlo. Che è, in un Territorio come il nostro, in una situazione come quella data, un espediente meschinamente burocratico, se non addirittura vigliacco di uscirne mondi, scansando le molteplici questioni che – ad onta della massiccia operazione di rassicurazione – sussistono, prima fra tutte quella della sottile differenza che intercorre tra i sostantivi “agibilità” e “sicurezza”, e quel che rispettivamente significano.

A Pescina il fatto nuovo è però intervenuto, ed è stato rappresentato dagli esiti delle indagini sulla vulnerabilità sismica delle scuole medie (meglio: dell’edificio adibito a scuola primaria e secondaria di primo grado ricompreso nell’Istituto comprensivo ‘Fontamara’, in via Martiri di Onna), indagini meritoriamente affidate dall’attuale amministrazione comunale nello scorso inverno (ne trattammo più volte, ringraziando pubblicamente la giunta dell’adozione di quella delibera, ed in particolare l’assessore preposto al ramo per aver scovato i fondi ed essersi attivato in tal senso, molto responsabilmente). Quel che ne è derivato è a conoscenza di tutti: le scuole sono state chiuse con un’ordinanza del sindaco, ed una buona parte dell’anno scolastico appena cominciato vedrà dunque gli studenti che avrebbero dovuto popolare quella vetusta ed infelice struttura sul fiume Giovenco dividersi tra la scuola Valente ed alcuni moduli provvisori ad uso scolastico (i famosi MUSP mostratici dall’esperienza aquilana), prestatici da Carsoli, con in più l’aggravio di doppi turni.

Il primo cittadino di Pescina non poteva proprio fare altrimenti. Quando l’indagine di un tecnico – condotta sull’analisi della documentazione storica disponibile e basata su sopralluoghi saggi e prove – ti dice che le verifiche di resistenza del complesso esaminato hanno evidenziato «una crisi di elementi strutturali già in condizione statiche», al punto che risulta persino superfluo chiedersi la resistenza allo stato limite ultimo in caso di sisma atteso (che non è esattamente una bazzecola: trenta volte più forte di Amatrice, come se si fosse ad Amatrice però)… beh, qualsivoglia individuo sulla testa sulle spalle gravato di una così pesante responsabilità quale quella di consentire il ricovero continuato e (possibilmente) sicuro di centinaia di persone in un dato ambiente, non poteva e non può che comportarsi come il sindaco Iulianella. I soli brani dell’indagine di vulnerabilità sismica riportati nell’ordinanza con la quale si è provveduto a chiudere le scuole medie sono più che sufficienti a comprendere – a chi lo voglia e lo desideri, e possa – il pericolo micidiale rappresentato da quella struttura (agghiacciante, ad esempio, «[…] carenza di armatura a taglio nei pilastri che innesca meccanismi di rottura fragile […]» / ma crediamo che l’intero e completo lavoro contenga molto altro).

A tale determinazione di chiudere – e alla sollecita risoluzione dell’emergenza innescatasi attraverso il rintraccio di moduli; emergenza i cui effetti certo si riverbereranno pesantemente sulla vita di studenti e genitori nei prossimi mesi (nessuno nega ciò) – si poteva reagire in vari modi, prendendo la questione per versi diversi.

La scorciatoia sopra descritta, quella cioè di sostenere che se la scuola è rimasta aperta sino ad oggi ben poteva e può continuare ad esserlo, cozza evidentemente con le risultanze di un’indagine prescritta dalla cosiddetta Legge sin dopo l’esperienza di San Giuliano di Puglia, indagine che ci dice che procrastinare l’uso di certi ambienti integra(va), a meno di non contestare radicalmente gli esiti dell’indagine strutturale e per l’analisi di vulnerabilità sismica commissionata dal municipio, una lunga serie di fattispecie penali, oltre che costituire una evidente lesione alla ragionevolezza, al principio di precauzione, ecc..

L’altro verso per assimilare la chiusura pescinese poteva anche essere il seguente (ed era quello che in qualche misurava pensavano potesse andare, e che non ha invece avuto fortuna): poiché oggi ci si dice che le scuole non sono sicure, non essendo intervenuto nulla di nuovo in questo periodo, allora pericolose queste scuole lo erano anche prima. Chissà da quanto tempo. Di qui, ci saremmo attesi una ricostruzione a ritroso delle responsabilità, ovvero di chi si fosse permesso di lasciare esposti ad una pesante minaccia, negli anni, ragazzi e corpo insegnante e amministrativo, ed in forza di quali norme, di quale carta, di quale presunzione. Non vogliamo tornare sulle missive e sugli scritti ciclostilati e prodotti, in tempi non sospetti, sulla questione di due scuole in particolare, proprio le medie di Pescina e le elementari di San Benedetto dei Marsi, né speculare su quanto le figure e le Autorità preposte – tra le altre cose, e quale prima responsabilità, alla tutela dell’incolumità pubblica e delle strutture sensibili – abbiano poco brillato nella vicenda, a partire dal dirigente scolastico (siamo ben disponibili, se del caso, ad un dibattito pubblico: in un luogo sicuro naturalmente, possibilmente senza tifo stupido).

Analogamente, senza polemiche di natura personale che a nulla servono ora, una riflessione sulla riapertura di queste scuole dopo il 6 aprile 2009 andrebbe fatta, se non altro per non andare in loop nel prossimo e lontano futuro, reiterando, in una disdicevole coazione a ripetere, gli stessi errori. All’epoca, il discorso fatto fu il medesimo che ora la burocrazia ci ripropone (ad onta delle parole dell’attuale Presidente del Consiglio, che sta dimostrando invece di aver compreso perfettamente il rilievo del tema dell’adeguamento sismico delle scuole, tanto da farne un proprio cavallo di battaglia): il terremoto ha fatto a L’Aquila, se non ci sono danni evidenti si può ricominciare. Ed in effetti quelle scuole lungo il Giovenco furono riaperte con un’ordinanza di due settimane successive al sisma aquilano, basandosi, crediamo di poter affermare con sicurezza, sull’esito delle cosiddette schede Aedes. Rubiamo le parole al maggiore quotidiano italiano:

[…] Dunque, funziona così: i sopralluoghi Aedes sono fatti da rilevatori accreditati alla Dicomac della Protezione Civile, e devono essere richiesti dai cittadini con uno specifico modulo. Spiega il professore Mauro Dolce: «Durante il sopralluogo che può durare anche tre ore, verifichiamo con una ispezione a vista se nell’intero palazzo ci sono danni e se i danni sono tali da averne ridotto la sicurezza. Non facciamo calcoli statici né prove sperimentali, quelli riguardano la verifica sismica volta a definire la vulnerabilità: richiede uno studio accurato sui materiali e modelli di simulazione che durano settimane o mesi, con spese più consistenti.

Alla fine del sopralluogo, viene rilasciato il certificato AeDes. Se l’edificio è classificato A, significa che è agibile, e si può rientrare. Con B non è agibile, ma basta qualche piccolo lavoro di risanamento (la riparazione di un controsoffitto o di un cornicione pericolante) per sistemarlo. C significa parzialmente inagibile, cioè una parte dell’immobile è sano e potenzialmente utilizzabile, ma sull’altra parte vanno fatti interventi urgenti. D è un risultato incerto: i tecnici hanno bisogno di un’altra ispezione. E è il palazzo danneggiato gravemente o semicrollato. C’è pure la F, in questo alfabeto dell’agibilità post terremoto: significa che c’è un pericolo esterno (ad esempio un campanile danneggiato) che grava su un immobile tutto sommato in buone condizioni […]».

Ebbene, crediamo che dei rilievi a vista effettuati in luoghi dove il terremoto non ha fatto non possano e non debbano mai più essere posti alla base di decisioni che coinvolgono la vita di centinaia di cittadini. Soprattutto non dovrebbero confondersi, come abbiamo sopra accennato, concetti estremamente diversi quali “agibilità” e “sicurezza”. La scuola di San Giuliano di Puglia, sino a quel terribile giorno del 2002, era certamente agibile ma i fatti occorsi ci hanno detto, purtroppo, che non era affatto sicura. Le schede Aedes come ogni altra analisi ad occhio, per quanto questo occhio possa essere esperto e persino marpione, ci dicono se si può forse rientrare in un ambiente ma la verifica della resistenza ad una catastrofe e delle condizioni di una struttura è tutta un’altra parrocchia, da condurre in tempi altri, normali.

Immaginavamo, come detto, che avremmo assistito ad un rincorrersi delle responsabilità precedenti senonché a finire sulla graticola sono stati gli attuali amministratori, che sul tema hanno fatto il loro in maniera difficilmente contestabile, adoperandosi per far effettuare quello studio che il professor Dolce poco sopra ci assicurava comportare “spese più consistenti”, e traendo le (inevitabili) conclusioni in base alle evidenze emerse. Cosicché, paradossalmente, l’attuale sindaco sta trasformandosi, in qualche chiacchiera non troppo impegnata e profonda, in colui che sta “chiudendo tutto” quando invece – ed anche qui potremmo richiamarci all’intera nostra produzione degli ultimi due anni, dal centenario del 1915 in avanti – è più semplicemente colui che si trova ad affrontare, in questo periodo storico, un’eredità di decenni nel corso dei quali, per una serie di ragioni che sarebbe dura (e, per la nostra capacità, impossibile) affrontare in pochi minuti o in due frasi, molto di quel che è pubblico è divenuto inutilizzato, inutilizzabile, di scarsa qualità, non facilmente riattabile o convertibile. O privo di senso compiuto. Anche qui però individuiamo un riflesso condizionato, quello con il quale alcuni vanno ad esorcizzare le questioni, che tutti dovremmo analizzare profondamente, attraverso l’individuazione di un capro espiatorio (è un poco quella cosa che da decenni si verifica per l’ottimo sindaco Scarsella [1964-1970]: si è venduta l’acqua del Giovenco!) e ricorrendo alla più classica e facile rimozione dei problemi. Il tema delle “bare volanti” (castello, ospedale, teatro, casello autostradale, liceo, distretto sanitario, ecc.) è più che mai attuale, e prendersela, adesso, con un’amministrazione per le ricadute di situazioni non più sostenibili assomiglia molto ad accusare il termometro del proprio stato febbrile.

Cosa diversa è quella di pretendere, da chi ci guida, uno sforzo di elaborazione complessivo che ridisegni le priorità, le urgenze, le prospettive; ma sulla vicenda scuole – si veda anche l’atteggiamento e gli atti per il progetto di campus della Valle del Giovenco, sino alle recenti analisi disposte per l’asilo nido di Venere – agli attuali amministratori comunali di Pescina può rimproverarsi ben poco, se non nulla. Di sensato, ovvio, ché di solenni scempiaggini è purtroppo lastricata la via dell’inferno della nostra ingravescente decadenza.

Tratto da:  martello-2016-12

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