TESTIMONIANZE DA GAZA DAI COOPERANTI DEL CISS

Redazione
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7° giorno dell’offensiva militare israeliana, La storia si ripete e a Gaza questo accade sempre piu’ spesso. Non e’ passato molto dall’ultima imponente operazione militare israeliana “Colonna di Difesa” contro la Striscia, quel maledetto Novembre 2012 e non sono ancora passate le scene di orrore di “Piombo Fuso” (2008/2009) che si ripetono nella testa della popolazione di Gaza, ravvivate dai continui attacchi quotidiani ai pescatori e contadini, dalle esplosioni e dal senso di chiusura e le relative conseguenze che la gente vive in quella che e’ la piu’ grande prigione a cielo aperto del mondo.

Per dirlo con Martin Luther King “ciò che  spaventa non è la violenza degli uomini malvagi ma il silenzio degli uomini onesti“, spaventa e fa rabbia perche’ Gaza “non fa notizia”, perche’ i morti di Gaza vanno solo ad alimentare numeri e statistiche, perche’ a loro viene negato la dignita’ di essere persona. Perche’ sono in pochi che si indignano per quello che succede a Gaza.

E allora noi vogliamo dargliela quella dignita’, e accanto al dire che dall’8 luglio fino ad ora ci sono stati piu’ di 2400 attacchi aerei, piu’ di 180 le vittime dei bombardamenti (secondo i dati del Ministero della Salute) di cui non si riesce a tenere il conto, piu’ di 800 feriti di cui molte donne e bambini e ormai centinaia di case completamente distrutte testimoniato dai continui aggiornamenti che riceviamo da parte delle Nazioni Unite, e centinaia di razzi sparati dall’interno, vogliamo parlarvi di cosa e’ gaza e di chi e’ la gente che vive a Gaza.

L’8 luglio ha avuto inizio l’operazione militare israeliana “Protective Edge“. Come ha scritto una studentessa di Gaza non si e’ mai emotivamente preparati ad un nuovo attacco anche se lo si e’ sperimentato in passato. L’elettricita’ viene tagliata ed il buio aumenta la paura. Si cerca di dormire ma il rumore delle costanti esplosioni lo impedisce e ti fa pensare solamente “chissa’ se il prossimo saro’ io, la mia famiglia o il mio vicino”.

E il pensiero in questi momenti va’ alla famiglia Kaware di Khan Yunis (sud della Striscia di Gaza) che aveva ricevuto una allerta di abbandonare la casa. Nonostante l’8 luglio tutto il vicinato si fosse radunato sul loro tetto per proteggerla pensando che la loro presenza avrebbe agito da deterrente,  l’aviazione israeliana non ha esitato a colpire. 8 morti, tra cui 4 bambini di 8, 10, 13 e 15 anni e piu’ di 40 feriti.

E alla famiglia Hamad di Beit Hanoun (Nord della Striscis di Gaza) di cui il piccolo Kanan di 6 anni e’ rimasto l’unico sopravvissuto al pesante attacco aereo che ha colpito la loro casa, questa volta senza nessun preavviso. 6 morti, tra cui un ragazzino di 16 anni.

E alla famiglia al Batsh, Gaza Est, che con un solo attacco il 12 luglio ha perso 18 familiari. Il bombardamento ha colpito la loro casa, accanto ad una moschea, alla fine dell’ora dipreghiera. L’attacco piu’ sanguinoso dall inizio dell’offensiva militare.

E, per chi lavora in cooperazione internazionale, tutto il diritto umanitario inizia a sembrare vuoto perche’ se e’ vero che sulla base dell’art.33 della IV Convezione di Ginevra  le punizioni collettive sono proibite e considerate crimini di guerra, non si sono levate molte voci per condannare quello che sta avvenendo.

I ragazzi che lavorano con il CISS hanno tutti tra i 20 e i 30 anni. Sono animatori e psicologi ed hanno fatto del loro lavoro una missione di vita, cercare di arginare la paura dei bambini e portare un sorriso. Per questo in tutti i mesi che hanno lavorato con noi distribubuivano “smile” adesivi” e “smile” a spillette a tutti quelli che incontravano.

S., una ragazza di 29 anni che abita ad Est di Gaza City, fa l’ingegnere e lavora nelle ludoteche nella costruzione dei giochi. Mi ha chiamato appena iniziato l’attacco per sapere come stavo, se ero al sicuro e se avevo bisogno di qualcosa.“Hamdulillah non sei a Gaza, ero molto preoccupata per te, sono felice di saperti fuori”.  Si preoccupava per me nonostante le esplosioni attorno la sua casa non le davano tregua. Lei e la su famiglia questa mattina hanno dovuto lasciare la loro casa perche’ a seguito di un attacco di un F16 vicino la loro abitazione sono rimasti senza elettricita’, senza acqua e senza internet circondati solo dal rumore dei bombardamenti. Si sono trasferiti nella casa del nonno “e’ una zona molto popolata forse qui siamo piu’ al sicuro, mio fratello e’ spaventato ma Inshallah – Se Dio vuole – andra’ tutto bene”.

S., e’ un ragazzo di 24 anni di Beit Lahya ha una dote particolare nel lavorare con i bambini: canta con loro fino a quando non ha piu’ voce, inventa sempre nuovi giochi e riesce a comunicare con loro in modo che pochi sanno fare. S. ha visto una casa vicina saltare in aria ed ha avuto la sua stessa casa semi distrutta “c’e’ stato un bombardamento proprio vicino casa mia, sono saltate porte e finestre“. Poco prima dell’Iftar, ci sono stati numerosi bombardamenti nella zona di Beit Lahya: “Hanno bombardato di fronte la nostra associazione, non sono riuscito a controllare i danni ma mi sono informato sui bambini,  una bambina e’ stata ferita dai vetri di una finestra esplosa e molti altri hanno avuto le case parzialemnte distrutte ma stanno quasi tutti bene “fisicamente”, Hamdulillah – ringraziamo Dio”

M., e’ un ragazzo di 22 anni del campo di Jabalya e’ un terremoto! Instancabile! Se lo incontri non puoi non lasciarti conquistare dal suo entusiasmo. M. lavora come Clown in corsia negli ospedali, come animatore e come insegnante di circo e giocoleria per i bambini. Anche lui voleva sapere come stessimo noi, era il suo primo pensiero.“io continuo a fare il mio lavoro, siamo abituati a tutto questo ma non riesco a restare in casa, spero che vada tutto bene e che tutti riescano a stare al sicuro”. Di nuovo il pensiero andava ai bambini della sua associazione “tanti bambini hanno perso le case, alcune sono state distrutte completamente ma Hamdulillah loro sono salvi”.  Questo e’ quello che mi diceva il primo giorno. Ma la sera del terzo giorno c’e’ stato un bombardamento fortissimo vicino la sua casa su un gruppo di giovani, 3 morti. “Non e’ sicuro qui, bombardano ovunque. Non c e’ un posto sicuro, non siamo al sicuro”.  In ogni caso M. Non si perde d’animo e con gli altri ragazzi della sua associazione ha recapitato alle famiglie della zona delle informazioni e piccoli consigli su come agire nell’immediato con i bambini che hanno paura. Questa e’ Gaza.

Ieri ho chiamato un caro amico, lui lavora come tassista, sta sempre in giro e conosce tutti e basta prendere una sola volta il suo taxi per ricevere un invito a pranzo a casa sua. Spesso lavora come autista per la stampa internazionale e per i fotografi. Volevo aiutarlo, proporgli di portare in giro della gente che stava andando a Gaza per coprire le notizie ma non me la sono sentita. L’ho chiamato in ogni caso per sapere come stava e mi ha detto “io restero’ a casa, la situazione e’ veramente brutta adesso, voglio stare con la mia famiglia, le senti le senti le bombe?? Inshallah kheer – Se Dio vuole andra’ tutto bene. Ringrazia tutti per la vicinanza e -Have a safe life-“.

N. ha 30 anni e due figli bellissimi. Lei abita nell’area di Al Salateen dove porta avanti attivita’ con le donne e con i bambini del quartiere. Tutti la adorano. Il 13 mattina, come tutti i suoi vicini ha ricevuto i volantini dell’esercito israeliano che le intimavano di lasciare la casa entro le 12. Quasi tutto il vicinato e’ scappato. Lei e altre poche famoiglie no. “Non voglio lasciare la mia casa, perche’ dovrei? E dove dovrei andare? Non esiste un luogo sicuro, non c’e’ spazio sufficiente per tutti nelle strutture dell’UNRWA, e come dovrei arrivarci alla scuola, e se bombardano in strada? E se bombardano anche quella?…e come dovrei prendermi cura dei miei figli ammassati la’ dentro? non siamo animali”. Ancora una volta una lezione di dignita’.

Il ricordo in questo caso va a Piombo Fuso quando l’esercito israeliano ha colpito direttamente anche le scuola dell’UNRWA e quando concedeva agli “sfollati” due ore per andare a prendere degli effetti personale nelle case costretti a lasciare per poi attaccare direttamnente le perosne in strada. Questi sono i racconti della maggior parte dei bambini traumatizzati che seguiamo nel progetto. Ricordi ancora vivi nelle loro menti.

La mamma di un noto blogger di Gaza, a fronte dell’avvertimento di lasciare la casa ha detto: Se ci uccideranno, che sia! Gli errori che i nostri antenati hanno fatto nel 1948 non si devono ripetere nel 2014, non fino a quando avro’ la forza di respirare…Muoriamo in piedi con dignita’ e orgoglio. Muoriamo come Palestinesi invece di vivere come pecore.

E per tutti quelli che considerano civile l’avvertimento dell’esercito ricordo la storia di Yasan che ha ricevuto l’avviso di abbandonare la sua casa in 10 minuti. Yasan in quel momento era fuori. Ha tentato disperatamente di contattare per telefono la sua famiglia, ma durante gli attacchi, le linee sono in tilt. Yazan ha iniziato a correre per raggiungere la sua casa ma quando e’ arrivato
si e’ reso conto di avere perso tutto: davanti a se’ la sua casa distrutta e la sua intera famiglia uccisa.

A. e’ uno dei nostri psicologi anche lui giovanissimo, si e’ sposato da poco e tutti i bambini che segue dicono che e’ bravo, che con lui si sentono al sicuro. A. ha avuto la sua casa completamente distrutta, si e’ dovuto spostare a casa di parenti, sta bene. E nonostante tutto, in questi giorni sta cercando di stare vicino a tutti i bambini che segue, chiamando loro e le loro famiglie per dare consigli, per aiutarli dal punto di vista psicologico e per offrire una parola di conforto di fronte a questo massacro che vivono tutti, lui compreso. Ancora una lezione, per tutti quelli che non vogliono sentire.

E davvero, non esiste un luogo sicuro a Gaza. Di sicuro non lo era il centro di riabilitazione di Beit Lahya dove due donne con disabilita’ fisica e mentale, Ola e Suha di 31 e 38 anni, sono rimaste uccise a seguito di bombardamento israeliano il 12 luglio. Tre missili sono stati lanciati contro il centro. L’infermiera, riuscita a salvarsi solo perche’, svegliatasi per la preghiere, al suono delle bombe e’ scappata. E’ attualmente ricoverata in ospedale.

Di sicuro non lo era il “Gaza beach cafe'” di Khan Younis dove il 9 luglio alcuni ragazzi, dopo l’iftar, erano andati a vedere la partita in cerca di una normalita’ tra il massacro che li circondava. Una normalita’ che non possono avere. L’aviazione israeliana ha attacco direttamente il club, senza avvertimento alcuno. 9 ragazzi, tutti sui 20 anni sono morti, altri 15 feriti.

M. anche lui del campo profughi di Jabalya fa parte del gruppo del circo. Venerdi notte e sabato mattina l’abbiamo trascorsa a parlare…voleva dormire disperatamente ma ogni volta il rumore dei bombardamenti vicini glielo impediva. Mi ha chiesto di dirgli qualcosa di divertente, non voleva pensare. Ho iniziato a dirli tutte le frasi in un arabo improbabile sulle quali mi prende sempre in giro mi ha detto che l ho fatto sorridere. E in quel momento di nuovo un’esplosione. M. E’ esausto. “Sono stanco, siamo tutti stanchi, non ce la facciamo piu'”.

Ed esausto era anche Anas Qandil, che  aveva scritto sulla sua pagina facebook “sono cosi’ stanco, non riesco a dormire da ieri a causa dei rumori assordanti dei missili e delle esplosioni. Se volete bombardare la nostra casa, fate pure…ho bisogno di dormire”. Poco dopo, Anas e’ stato ucciso da un missile israeliano che ha centrato il suo quartiere e la sua casa.

Sarebbe impossibile riportare le storie di tutti….ogni minuto si accresce la lista di coloro che restano uccisi o perdono la casa o un amico.

A nome dei nostri amici e colleghi con i quali lavoriamo, a nome dei bambini che ogni giorno sono con noi, a nome delle loro famiglie, e a nome nostro come CISS chiediamo che le violenze vengano interrotte immediatamente, che questo massacro che non puo’ in nesun modo essere giustificato venga fermato e che gli “onesti” rompano il silenzio e inizino a prendere posizione a favore dell’autodeterminazione del popolo palestinese, della fine dell’assedio su Gaza e della fine dell’occupazione.

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